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Municipio XII, M5s perde 19 attivisti: "Onestà tradita dai portavoce" 

Un lungo documento mette nero su bianco l'addio. Dalla scelta della presidente Crescimanno come candidata al caso di Camillo, tutte le ragioni del divorzio con i consiglieri

È l'ultimo episodio di una lunga, spiacevole, storia che ha segnato l'intero primo anno di presidenza Crescimanno. Nel municipio 12 lo zoccolo duro di attivisti Cinque Stelle ha detto addio al gruppo di lavoro territoriale. Onestà, trasparenza, partecipazione dal basso. Nelle stanze di via Fabiola, a detta di un nutrito gruppo di militanti della prima ora, non c'è più niente di tutto questo. 

Dalla scelta di candidare Silvia Crescimanno - per molti poco preparata, spinta e protetta dall'alto - passando per il crescente isolamento dei militanti quasi mai consultati nè coinvolti nelle scelte di governo, fino ad arrivare al caso di Massimo di Camillo, il presidente dell'Aula in conflitto di interessi (vedi parere di Anac) sempre blindato dalla minisindaca e dal suo "cerchio magico". Un mix di ragioni esplosivo che ha portato 19 pentastellati della "base" a lasciare il gruppo. 

È tutto nero su bianco in lungo scritto che RomaToday ha potuto visionare. Firmato, messo a verbale e consegnato durante una riunione dei militanti. Tre pagine fitte per ricostruire dissidi e abissali divergenze di vedute, ma soprattutto per attaccare gli eletti, rei di aver tradito i valori cardine del Movimento, quello "puro", delle origini. Chi doveva fare da "portavoce" (che è poi il termine con cui i consiglieri gradiscono farsi chiamare), avrebbe calpestato i valori fondanti del grillismo, macchiandosi del peggiore dei mali della vecchia politica: l'autoreferenzialità e lo scollamento con la società civile. 

"Questo documento nasce dalla volontà di voler esprimere tutta l'amarezza nel vedere calpestare, da parte dei nostri portavoce municipali, quei valori di trasparenza, onestà e democrazia partecipata che costituiscono i principi fondanti del M5S". Il j'accuse inizia così, e prosegue con la cronaca di un divorzio annunciato che il nostro giornale raccontava mesi fa. Perché se in tempi di dimissioni di Ignazio Marino, "il gruppo era coeso, un gruppo che discuteva, che si confrontava", è bastato parlare di candidature per incrinare l'idillio. "Si sentiva odore di 'cordate' - scrivono i 19 nel documento citato - anche se pochi sono pronti ad ammetterlo, alcuni iscritti cominciarono a fare squadra con quello che oggi ci appare in tutta la sua evidenza come un cerchio magico". Lo stesso cerchio magico che giorno dopo giorno avrebbe isolato gli attivisti. A guidare l'intera macchina sono i fedelissimi di Crescimanno (tra questi di Camillo e i consiglieri Francesco Tesse, Antonella D'Angeli, Antonio Caprioli, Claudio Cardillo). Per chi dissente non c'è spazio. 

Nessuna interlocuzione per la selezione della giunta, e convocazioni sempre più rare dei tavoli di lavoro, strumento portante della filosofia grillina subito dopo il web. Dovevano essere "il principale luogo di condivisione con i portavoce" ma ad oggi praticamente non esistono più. Nemmeno pareri e suggerimenti inerenti fratture interne allo stesso gruppo di maggioranza sono mai stati presi in considerazione. Così, nonostante i militanti avessero avvisato in più occasioni i portavoce di un clima teso che montava, la consigliera Francesca Grosseto è passata a Fratelli d'Italia ("troppe frizioni interne") senza che nessuno abbia minimamente lottato per la coesione del gruppo.La questione è stata semplicemente ignorata: "Ci hanno messo a tacere dicendo che era una "chiacchera da bar"".

E poi c'è l'arcinoto caso di Camillo, detonatore della crisi sia interna alla maggioranza (culminata con le dimissioni della presidente della commissione Sociale, Annamaria Gabrielli) che con gli attivisti. Consigliere e presidente dell'Aula, titolare per dieci mesi di un nido convenzionato con il Comune di Roma, nei suoi confronti i 19 "dissidenti" si aspettavano dai vertici ben altra reazione. Quanto meno l'imposizione di un passo indietro alla carica di garante dei lavori del Consiglio. E una condanna da parte della minisindaca, che invece di Camillo lo ha sempre difeso, facendo parlare esclusivamente il più riserbato silenzio sulla vicenda. 

"Agli scriventi - si legge in chiusura - è estremamente chiaro che quella base, che era servita a portare voti ai futuri portavoce, quella base che era servita a dimostrare alla gente che il Movimento è partecipazione, ormai poteva essere immolata sull’altare del potere e della "ragion di Stato", la stessa che ha permesso a Di Camillo, nonostante il disagio diffuso e più volte espresso da tanti attivisti sul suo comportamento e sui risvolti negativi che la sua vicenda ha avuto sull’intero movimento, di rimanere tranquillamente al suo posto"

Così i "portavoce" non portano più da tempo le voci di nessuno. E i militanti dicono addio a chi di fatto "si è affrancato da tutti coloro che hanno lavorato con dedizione e passione per rendere un sogno iniziale realtà". 

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